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Bloccare la crescita di un tumore, interrompendo il meccanismo delle cellule che entrano nel sito del cancro e supportano il suo sviluppo e la diffusione di metastasi, è un obiettivo possibile. Uno studio condotto da ricercatori del San Raffaele aveva conquistato la copertina di Cancer Cell all'inizio del 2011, dimostrando che si poteva fermare la metastasi grazie a un nuovo antiangiogenico che non sviluppava nelle cellule la "difesa" contro il medicinale. La molecola in questione si chiamava angiopoietina-2 (ANG2), è prodotta dai tumori e stimola la formazione di vasi sanguigni intorno alla cellula cancerosa. La ANG2 agisce creando delle strade che consentono al tumore di "spostarsi" e formare metastasi in altri organi. Gli studiosi dell'Unità di angiogenesi e targeting tumorale del San Raffaele di Milano, coordinati da Michele de Palma, avevano rilevato che questa attività "pro-angiogenica" poteva essere bloccata efficacemente mediante un nuovo inibitore specifico sviluppato da AstraZeneca. La ricerca era all'inizio, ma lasciava sperare.

Oggi un gruppo di ricercatori canadesi aggiunge un nuovo tassello a queste ricerche. I ricercatori hanno infatti individuato sulla superficie dei macrofagi - cellule coinvolte nel meccanismo di immunità innata che vengono riprogrammate dal tumore e non attaccano le cellule malate ma le aiutano ad alimentarsi - una proteina, la S100A10, che apre, letteralmente, la strada a tali cellule per entrare nelle cellule neoplastiche. Il risultato della ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Cancer Research, è di notevole portata poichè, in sostanza, ha scovato l'interruttore che accende il processo di alimentazione delle cellule malate.

I ricercatori del Dipartimento di biochimica e biologia molecolare e patologia del centro ricerche sul cancro della Dalhousie University, ad Halifax, in Canada, hanno battezzato la proteina dei macrofagi forbice molecolare e con questa scoperta hanno rivoluzionato il modo di studiare un tumore: l'attenzione non va posta solo sulle cellule malate ma anche su quelle che le aiutano a crescere e a convertire le cellule sane. "Eravamo soliti pensare che le cellule che contano in un tumore sono quelle malate - afferma il coordinatore della ricerca e prima firma dello studio, David Waisman ma ora abbiamo visto che altre cellule devono collaborare con le cellule tumorali, guidarne la crescita e consentire un'evoluzione delle cellule normali in cellule metastatiche. Questo cambiamento è ciò che provoca la prognosi infausta e in ultima analisi, è quello che uccide il paziente". La ricerca, inoltre, ha evidenziato che senza il processo di approvvigionamento, garantito dall'apporto dei macrofagi e dalla loro proteina S100A10, il tumore non cresce. "Questa proteina agisce come un paio di forbici - aggiunge Waisman - che tagliano il tessuto-barriera creato attorno al tumore, consentendo ai macrofagi di entrare nel sito della neoplasia e combinarsi con le cellule malate". Nel laboratorio canadese è stata portata avanti una sperimentazione su topi con tumore ai polmoni ed è stata documentata una "drastica riduzione" della crescita della neoplasia negli animali con deficit della proteina S100A10.

Questa scoperta apre la strada per la ricerca, in primo luogo, delle funzioni di S100A10 e, successivamente, di agenti farmacologici che possano bloccare la sua azione e quella dei macrofagi, così da togliere l'ossigeno al tumore, fermarne la crescita e la diffusione di metastasi. Si tratta di uno studio importante, commenta il presidente del Collegio italiano primari ospedalieri di oncologia medica Roberto Labianca, tuttavia, avverte, è necessaria "prudenza e, soprattutto, non vanno date ai malati false illusioni: va infatti detto che dal momento in cui si identifica il potenziale bersaglio al momento in cui si può avere la disponibilità concreta di farmaci mirati sono necessari degli anni".

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