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Grazie ai progressi scientifici possiamo oggi affermare che in Italia, al pari di molti altri paesi, si sta assistendo ad una riduzione di mortalità per le principali neoplasie a fronte di un complessivo incremento del numero di casi diagnosticati.
Aumentano i tumori della mammella, del colon, della prostata, del fegato e vie biliari mentre diminuiscono quelli dello stomaco, del polmone (nell’uomo) e del distretto cervico-facciale.
In pratica si fa più diagnosi di tumori (spesso più di un tumore nella vita di una persona), ma si muore meno per le singole neoplasie.

Com'è stato possibile raggiungere tutto questo?
Non c'è una causa, ma molte sono le strade pecorse che hanno permesso di ottenere questi risultati: programmi di screening; 

miglioramento tecnologico degli strumenti diagnostici e terapeutici; 

evoluzione del processo multidisciplinare.


Sempre più oggi si parla di cronicizzazione: vivere più a lungo pur essendo portatori di un tumore non guaribile; questo grazie soprattutto alla continua innovazione dei trattamenti e alla loro integrazione con le altre terapie (chirurgia, medicina, radioterapia, radiologia interventistica ecc.).

Allora dove sta il problema? Il problema è il costo delle cure.
In oncologia i costi che ricadono sull’intera economia del Paese, si stimano in quasi 10 miliardi di euro, con un costo complessivo per paziente pari a circa 30 mila euro, con un impatto che può essere considerato vicino all'1% del Pil annuale. Numeri che obbligano ad alcune riflessioni. In oncologia, mutuando dal linguaggio politico si usa dire "tavolo del dibattito", ovvero il luogo dove ci si interroga sul significato profondo e sugli impatti di una scelta. Gli obiettivi sono sempre gli stessi: condividere l'esperienza, promuovere la partecipazione e guidare la gestione.
Eppure complice la crisi che dal 2007 ha interessato tutti i campi, a tenere "banco" è principalmente se non esclusivamente il dato economico: spending reviewbenchmarkefficienza allocativaout of poket, solo per fare degli esempi. In questi gruppi di lavoro si confronta l'impatto economico di una scelta oncologica. 

Ne consegue che il beneficio clinico, ossia il risultato dei vari interventi preventivi o terapeutici espresso come quantità di salute guadagnata, rappresenta il criterio che guida - o che dovrebbe guidare - l’allocazione (distribuzione) delle risorse.

Quindi nessun problema! Allora la domanda: chi controlla gli investimenti in oncologia? sembra trovare una rassicurante risposta nel percorso fin qui descritto.

Purtroppo il problema è molto più serio e necessita di un'attenta valutazione. Nei prossimi anni complice la crisi che non abbiamo saputo controllare e sfruttare a nostro favore per varare quelle riforme che da anni attendevano risposta ci troveremo sempre più in difficoltà a gestire le problematiche economiche collegate all'oncologia.

Come controllare dunque gli investimenti in oncologia?
L’innovazione in oncologia come in tutti i campi della medicina, si esercita negli ospedali e nelle università, quindi a dirigere i costi in oncologia dovrebbero essere da un lato i clinici, dall’altro le istituzioni. L’elemento centrale dovrebbe essere il rapporto costo-efficacia, che come abbiamo detto oggi in Italia complice la crisi, rappresenta suo malgrado, sempre più l'elemento centrale del processo decisionale.
Si tratta quindi di realizzare un passaggio epocale che superi l’uso del rapporto costo-efficacia con l'attuale modello qualitativo e che finalmente consideri come elementi prioritarii, i dati e le conseguenti delle scelte evidence-based medicine basate però su criteri quantitativi.



Casa manca quindi?
Un tavolo clinico che abbia come obiettivo quello di realizzare una competizione tra i diversi trattamenti oncologici disponibili, considerando i rapporti di costo-efficacia espressi quantitativamente per definire una scala distinta in gradi di quantità di salute guadagnata e il risultato economico conseguente, definito come “priority setting” (a determinazione di una scala di priorità sulla base dell' esperienza conseguita).



Quindi prima la clinica e poi l’economia e non viceversa. Fino ad allora siamo destinati a veder crescere la spesa per mancato controllo degli investimenti e continuando così in futuro potremmo anche non essere più in grado di garantirli...

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