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La medicina al pari di ogni altra disciplina scientifica vive il proprio sviluppo contestualmente alle fasi evolutive dell’umanità.
Nel momento in cui l’uomo prende consapevolezza del proprio io si determina il passaggio dalla preistoria alla storia. Da questo momento ogni azione non rappresenta un mero atto di passiva ripetizione ma una libera scelta. In questo modo l’uomo acquisisce velocemente le prime competenze: prima di tutte l’agricoltura, l’allevamento, la religione, la scrittura e più tardi forme più specialistiche e definite del sapere. La medicina si pone ad un livello piuttosto iniziale nella scala evolutiva delle conoscenze. Da sempre esiste una fiorente letteratura che pone al centro del disputa i presunti limiti della scienza, ma il dibattito si fa ancora più acceso quando si parla di una disciplina come quella medica che proprio per le forti implicazioni sociali e umane ricopre un ruolo quanto mai critico.

Questa disciplina è capace di infiammare e animare violente dispute che oppongono contrastanti e spesso inconciliabili modi di interpretare il significato e quindi l’applicazione della medicina. Quando ci si confronta con argomenti per certi aspetti così fastidiosi è opportuno usare la massima prudenza e umiltà.

Proviamo a considerare la medicina non con l’occhio critico dello scienziato o con quello interessato del paziente, ma come spettatore che osserva il personaggio di una commedia: per quanto importante sia, rimane sempre e solo parte di un insieme. Per capire la medicina dobbiamo compiere un’azione di regressione progressiva e svestire la medicina di tutti gli aggettivi che intimamente connessi ne offuscano il significato. Ci renderemo così conto che ciò che rimane quando tutto ciò che si poteva rimuovere è stato rimosso è molto più di quanto ci si aspetti.

A questo punto possiamo finalmente iniziare il dibattito sui limiti della medicina. Partiamo da una premessa necessaria, una definizione condivisibile di medicina. Su internet ho trovato questa definizione del mondo anglosassone che mi è sembrata estremamente completa: “the art or science of restoring or preserving health or due physical condition, as by means of drugs, surgical operations or appliances, or manipulations: often divided into medicine proper, surgery, and obstetrics”.
Se la medicina fosse solo questo appare chiaro che non sarebbe possibile assegnare un limite alla medicina, l’evoluzione della scienza anche se lenta è inesorabile. Eppure nella storia dell’umanità le eccezioni che vengono subito in mente sono tali da infrangere questa convinzione. Semmelweis, che per aver intuito l’importanza della sterilizzazione fu deriso, perseguitato e finì i suoi giorni in manicomio. I primi rudimenti della vaccinazione anti-vaiolosa furono messi a punto in Cina e in India migliaia di anni fa, eppure hanno trovato applicazione solo nel XX secolo. Le lotte pionieristiche nell’ambito della medicina del lavoro di Ramazzini agli albori del 1700, diverranno realtà solo due secoli dopo. Perché un’idea la cui validità è tale da poter modificare e migliorare la qualità di vita dell’uomo non trova applicazione nella pratica clinica anche per lunghi periodi e poi improvvisamente si afferma con naturalezza e candore disarmante?

Erone di Alessandria, vissuto probabilmente nel I secolo della nostra era, descrive in una delle sue opere, due macchine a vapore. La prima a carattere dimostrativo mentre la seconda è usata per aprire le porte di un tempio. Questi modelli sono stati in genere considerati delle bizzarrie costruite con l’unico scopo di generare stupore e l’interesse attorno a queste scoperte si spense rapidamente. Eppure l’invenzione e applicazione di queste macchine assume un valore enorme se si inseriscono nell’ambito della civiltà ellenistica che per prima aveva iniziato a sfruttare l’energia idraulica come fonte di energia alternativa. Come si è giunti alle macchine a vapore moderne? Discendono attraverso un filo continuo da quei modelli ellenistici o sono piuttosto il prodotto di un particolare periodo storico? Le descrizioni di Erone furono intensamente studiate fra gli altri da Leonardo da Vinci; la possibilità di sfruttare il vapore come forma di energia fu poi considerata da GiamBattista Della Porta nel 1601. La prima macchina a vapore costruita in epoca moderna di cui si hanno chiare indicazioni è quella descritta da Salomon De Claus nel 1615 e serviva ad azionare una fontana ornamentale a intermittenza. Eppure l’idea di Erone stentava ad affermarsi come una scoperta fondamentale.

Quando invece divenne economicamente conveniente iniziare a costruire macchine a vapore, ossia quando non fu più possibile soddisfare la fame di energia dell’industria in rapido sviluppo con le sole macchine idrauliche la tecnologia di Erone fu la più naturale risposta alle esigenze del mercato.
Il limite della scienza medica sarebbe il risultato dell’incapacità di affermarsi nel periodo storico in cui si sviluppa: la sindrome di Erone. Questa ipotesi nasce da due presupposti.

Il primo si richiama alla convinzione secondo cui la medicina sia un fine. Essa rappresenta un sapere che produce costantemente innovazione e contrariamente ad altri settori non è dipendente dalla richiesta del mercato a cui si riferisce perché la medicina è contemporaneamente la domanda e l’offerta. Questo che a prima vista può sembrare un paradosso racchiude l’essenza stessa della medicina. L’uomo nasce, si sviluppa e si riproduce per un principio filogenetico intrinseco a ogni creatura, la medicina esaudendo il bisogno della salute risponde al principio fondamentale della vita che è addirittura superiore a quello dell’uomo. Pertanto anche se non esistessero medici, la medicina intesa come difesa della salute esisterebbe come principio della selezione naturale. Charles Darwin nel 1859 nel libro L'origine delle specie, spiega il meccanismo con cui avviene l'evoluzione delle specie e secondo cui, nell'ambito della diversità genetica delle popolazioni, si ha un progressivo (e cumulativo) aumento della frequenza degli individui con caratteristiche ottimali (fitness) per l'ambiente di vita. Poiché la medicina contribuisce a migliorare la vita di una specie potremmo in definitiva considerarla come la mutazione in grado di garantire il vantaggio adattativo in termini di sopravvivenza e riproduzione a cui faceva riferimento il celebre naturalista.

Il secondo presupposto non riconosce il ruolo di centralità della scoperta scientifica nella medicina, quanto piuttosto la possibilità da parte del mercato di considerare ogni scoperta scientifica un semplice elemento di scambio commerciale e solo in questo modo di renderla applicabile per l’uso corrente. La medicina secondo questa teoria è un prodotto o merce. Il valore di questo prodotto non è limitato dalle spese di produzione ma da quelle di riproduzione. Si individua il valore del prodotto non già nelle spese che la produzione della merce ha implicato, ma in quella che implicherebbe a chi la desidera se dovesse procurarla da se medesimo. Molte delle scoperte mediche potrebbero nascere non come conseguenza dell’evoluzione del pensiero scientifico né come risposta a un bisogno della società. Il frutto della ricerca comporta sempre dei risultati, che se hanno stentato ad affermarsi contrariamente a quanto si creda, non dipenderebbe dalle responsabilità della comunità scientifica o dalla riluttanza della popolazione, ma addirittura dalla speculazione, intesa come l'arte di capire come agirà la maggioranza degli operatori di un mercato per trarne il massimo profitto. se in un momento storico non si ravvisa utilità nell’introdurre una scoperta scientifica indipendentemente dalla sua validità si preferirà aspettare un periodo successivo capace di garantire maggiore profitto. Anche le moderne teorie economiche hanno confermato l’assunto secondo cui l’offerta può “generare” la domanda; i bisogni degli uomini contrariamente a quanto sostenuto in passato non costituiscono più un dato costante e sono pertanto suscettibili di espansione. Bisogna inoltre ricordare le caratteristiche intrinseche della medicina che le conferiscono ruolo elitario. Ad essa viene attribuita una valenza di riverente mistero che non è mai rispetto ma piuttosto sospetto, eppure proprio questo attributo le garantisce l’eccezionale valore di scambio nel mercato.
Da questi due presupposti ne consegue che il problema della medicina in ogni epoca è rappresentato dalla capacità del sapere medico di affermarsi nel periodo storico in cui si sviluppa.

La medicina spogliata da ogni attributo estraneo ad altre motivazioni, può essere considerata come una molecola che cede solo alla forza sulla quale agisce la qualità astratta che hanno gli elementi, di soddisfare un desiderio e quindi un bisogno sia esso legittimo o no. Svuotata dalle proprie implicazioni sociali che ad essa si accompagnano e rifiutando l’impatto emotivo che la condiziona è ancora possibile parlare di medicina e soprattutto dei suoi presunti limiti.
Esiste una corrente di pensiero che partendo anche da presupposti opposti giunge alla conclusione secondo cui il limite della medicina è rappresentato dal sapere fin qui acquisito e pertanto non si deve in alcun modo superare questo traguardo. Questo pensiero che per semplicità definiamo negativismo ha sempre condizionato sia le società in fase di espansione che quelle in fase di decadenza. Proprio la componente di mistero che lega la medicina ad ogni civiltà primordiale, caratterizza la necessità di rispettare le regole e quindi di mantenere un limite allo sviluppo della scienza medica a favore del misticismo. E’ ben noto che agli albori di ogni civiltà i depositari del sapere medico fossero le figure rappresentanti il mondo religioso. Nella fase di involuzione di ogni società poiché la medicina risulta intimamente connessa con le vicende del genere umano e con il tema della malattia-morte-sofferenza, si tende a riferire la colpa del momento alla superbia del genere umano e quindi il rispetto dei limiti si può concretizzare con la negazione e la rinuncia a ogni ulteriore progresso medico.

Narra il cronista al seguito delle truppe macedoni che quando Alessandro Magno vide l’estensione dei suoi domini pianse perché non c’erano più mondi da conquistare. Nella potenza e teatralità di questa frase sembra racchiuso il monito a non superare i confini rappresentati dalla condizione fisica del genere umano. Su questo assunto la comunità religiosa ha sempre attribuito un ruolo subordinato alla medicina. Molte degli accesi dibattiti che negli ultimi decenni hanno alimentato la polemica nel confronto fra medicina e religione, derivano non tanto da una presunta quanto sbagliata credenza secondo la quale esista un percorso oscurantista teso a imbavagliare la medicina e privarla della sua autonomia quanto per riconoscere il limite di una scienza che deve essere sempre e comunque al servizio dell’uomo e mai il fine di ogni nostra azione. Il rischio infatti potrebbe essere quello di scivolare verso una forma di idolatria: sacrificando sull’altare di un falso mito la natura stessa dell’uomo. Temi delicati e controversi come l’aborto, la clonazione, l’eutanasia rappresentano sicuramente i confini della scienza ma non possono in alcun modo essere definiti come i limiti della medicina da non oltrepassare. Bisogna anche riconoscere che il pensiero deviato di alcuni estremismi ha condotto a derive pericolose. Alcuni sostengono il paradosso secondo cui la medicina sia l’unica scienza che lotta incessantemente per l’annullamento della sua ragione stessa di esistere. A sostegno di questa stesi esiste un movimento che trae spunti da implicazioni trascendenti e immanenti, ma perfino dal mondo della commedia. E’ nota la freddura tipicamente inglese di quel anziano medico molto apprezzato dai suoi pazienti, che dovendosi allontanare dal suo studio per un breve periodo decise di affidarne la gestione al giovane figlio anch’esso medico. il figlio ci mise tutto l’impegno e la sua competenza per non deludere il padre e incominciò a curare così bene i suoi pazienti da guarirli tutti. Al ritorno l’anziano medico vedendo ciò s’infuriò col giovane figlio spiegando che aveva commesso un imperdonabile errore poiché i pazienti si devono curare e mai guarire per non perdere la ragione del proprio lavoro. Se da un lato la medicina con i suoi incessanti sviluppi ha comportato un costante miglioramento del genere umano è altresì vero che per garantirne la sua ragione deve sempre rimanere un passo indietro alle proprie scoperte.

Esiste d’altro canto una corrente di pensiero che nasce da diverse esigenze, ma che converge con il riconoscimento di un ruolo di supremazia della medicina: a questo pensiero daremo il nome di positivismo. Vi appartengono scienziati mossi da sentimenti altruistici esattamente come speculatori mossi da istinti personalistici. Negli ultimi anni la ricerca in campo medico ha prodotto una tale quantità di conoscenze che è diventato difficile prendere decisioni cliniche fondate sulle prove scientifiche disponibili. Tutto questo sapere ha condotto l’umanità alla consapevolezza di una nuova scienza medica invincibile. La possibilità di combattere e vincere le paure del passato è stata superate dalla certezza di imporsi perfino sulle parte più deboli e corrotte del proprio io. Questo credenza tutt’altro che infondata è frutto di un lungo e tormentato percorso. Il progresso medico che stiamo vivendo affonda le sue radici nei primordi della scienza moderna e trova in Galileo Galilei il suo fondatore. Provare e riprovare: monitorare sistematicamente l’applicazione di un principio cosicché sia possibile verificare a distanza se la sua introduzione abbia ottenuto i risultati che ci si aspettava.

Questo modello ha portato in breve tempo a risultati sorprendenti: l’idea mitizzata già nell’antichità dell’uomo capace di sconfiggere ogni malattia si ritrova oggi nelle più moderne teorie immanenti dell’evoluzione: le campagne di igiene sanitaria di cui ad esempio le vaccinazioni fanno parte, sono state capaci modificare il destino di intere nazioni riducendo la mortalità perinatale; i progressi della ricerca in campo genetico hanno permesso di identificare metodiche capaci di predire il futuro modificando il passato; il mito di Prometeo è oggi una realtà grazie alle ricerche dell’immunologia e della chirurgia che hanno trovato applicazione nella trapiantologia. D’altro canto bisogna ammettere che l’interesse economico delle industrie farmaceutiche in alcuni casi ha interpretato il bisogno di salute del mercato investendo sempre più nella ricerca solo allo scopo di incrementare i profitti. Sono ben note le distorsioni di questo mercato con le derive finanziarie capace perfino di produrre danni sanitari quasi peggiori delle malattie a cui si rivolgevano.

Il sapere medico come tale non può quindi avere limiti. Il futuro non sarà diverso dal presente che viviamo o dal passato che abbiamo studiato. Eppure per riconoscere un valore aggiunto rispetto a tutto quello fin qui ottenuto bisognerà sviluppare un aspetto molto noto dell’ingegneria gestionale: lo studio e lo sviluppo di tutti quegli elementi utili ad accettare e consolidare in maniera veloce ed efficace un’idea. La medicina è un sistema, ovvero un insieme di processi interdipendenti che si muovono in modo sincronizzato per raggiungere un obiettivo comune. Nel caso della medicina l'obiettivo è generare salute. Il vincolo della medicina però è rappresentato dalla capacità del sapere medico di affermarsi nel periodo storico in cui si sviluppa. In ogni sistema esiste sempre un numero limitatissimo di fattori che ne impediscono crescita e miglioramento. Questi fattori sono il vincolo dell'organizzazione e dettano la velocità con cui essa è in grado di raggiungere il proprio obiettivo. Per estrarre il massimo valore possibile dall'organizzazione di un sistema è necessario individuare il vincolo e gestirlo. Solo così è possibile controllare la velocità con cui l'intero Sistema genera valore, solo così è possibile garantire una forma efficace di sviluppo. Questo aspetto che a prima vista può sembrare banale e per certi aspetti pleonastico è invece la ragione dell’arretratezza che ancora si percepisce nel settore medico e che ne limita la capacità di espansione.

La medicina che si è sempre occupata della salute dell’uomo pur di mantenere il proprio dominio e superiorità è finita per emarginarsi. Paradossalmente è una società simile a quella bizantina: superbamente arroccata nei propri principi e poco propensa a relazionarsi con le necessità del mondo esterno tanto da correre il rischio oggi più che mai di non riuscire più ad evolvere. La soluzione a questo problema risiede nella consapevolezza che tentare di eliminare il vincolo significa subirlo, mentre decidere strategicamente dove esso debba stare e gestirlo è vincente sia in termini di energie necessarie sia in termini di efficacia. Seneca scriveva: “sebbene gli antichi abbiano già scoperto tutto, l’applicazione, la conoscenza e l’organizzazione delle scoperte altrui saranno sempre nuove”. Mi piace pensare che la medicina non possa avere limiti per definizione se non fosse per il fatto che l’uomo sia limitato.

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