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“La metamorfosi della Medicina Penitenziaria: l’etica nelle cure”: questo il tema su cui si sono confrontati i soci della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria. La sanità penitenziaria è una realtà che deve confrontarsi sempre più con comunità sovraffollate e multietniche alle prese con un numero crescente di disagi. Il panorama è in continuo mutamento per gli indirizzi normativi e di competenze tuttora da definire. Resta in maniera statuaria, la specificità del medico penitenziario come “specialista della salute in carcere”. Dei 59.840 detenuti ristretti attualmente nelle carceri italiane, 19.784 sono stranieri, una percentuale del 33,4%, che rende ancora più impegnativo il lavoro del personale impegnato negli istituti. L’aumento dei flussi migratori rappresenta oggi una sfida di carattere sociale, culturale e politico per tutte le democrazie del nuovo mondo. In questo scenario il carcere resta un osservatorio privilegiato, segnalando ed anticipando i problemi e le difficoltà d’integrazione degli stranieri. Il carcere, però, non è solo il luogo della forzata convivenza, ma si pone anche come il luogo possibile d’incontro-integrazione e prevenzione in materia sociale e sanitaria. Ciò che rappresenta la nuova e irrisolta sfida è il “dopo carcere”.

Il diritto alla salute è l’unico che la Costituzione espressamente definisce “fondamentale” quindi va effettivamente tutelato e inquadrato tre i diritti inviolabili dell’uomo. Continua con il concetto della novità del diritto, non in astratto, ma in concreto nel senso che solo grazie alla legislazione a decorrere dall’istituzione del SSN e, soprattutto, alla recente evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale tale diritto fondamentale è divenuto effettivo e in un certo senso nuovo. E’ altresì importante quanto detto dal Presidente della Corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola che ha posto l’accento sul “vincolo costituzionale alla considerazione della salute come bene personale e sociale nello stesso tempo senza che mai prevalga l’uno aspetto sull’altro”.
Qualsivoglia disparità tra cittadini di status diversi non è ammessa: anche il detenuto deve veder tutelato con pari grado di effettività il proprio diritto alla salute senza subire alcun detrimento in conseguenza della condizione in cui versa. Renato Andreano
afferma che: “l’Amministrazione Penitenziaria, pur avendo il compito di gestire l’esecuzione penale, ha il dovere, attraverso l’attività di tutela della salute della popolazione detenuta, di garantire il rispetto di quella dimensione personale senza la quale il carcere diverrebbe sempre più luogo “di contenimento di semplici corpi ripiegati negli spazi angusti ed infelici della detenzione”. La Corte Costituzionale però, pur avendo affermato che “la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra del distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone”, ha anche precisato che: “Le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso totalmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”.
(Sentenze 309/99 – 267/98 – 416/95 – 304/94 – 218/94 – 247/92 e 445/90).
L’assistenza sanitaria rappresenta un’occasione unica di incontro tra la società “libera” ed il cittadino detenuto. La malattia rappresenta la condizione in cui il detenuto “chiede” e la società è chiamata ad “ascoltare”, il momento in cui è più facile creare quel dialogo interpersonale che è presupposto indispensabile per una effettiva opera di recupero della persona non libera. Qui si realizza la difficile opera di recupero del detenuto facendolo sentire cittadino di fronte ai diritti-doveri sanitari sanciti dalla Costituzione in modo che non si senta condannato due volte. Due i capitoli di interesse sanitario: le malattie infettive e le patologie croniche, con l’aumento dell’età media e l’introduzione di nuovi processi terapeutici, è probabile che anche nel modo delle carceri malattie prima riservate a piccole comunità acquistino un peso diverso: è il caso ad esempio dell’oncologia. E’ rarissimo, se non proprio la prima volta, che si parli di Oncologia e sistema carcerario. L’argomento riguarda popolazioni carcerarie con determinate età ed a lungo periodo di detenzione. E’ auspicabile poter introdurre i programmi di prevenzione uguali a quelli del SSN. Giungono richieste da parte dei detenuti a tale riguardo. Molto spesso si creano percorsi agevolati e preferenziali per il detenuto affetto da tumore rispetto a quanto riservato al cittadino non detenuto. La popolazione carceraria, inserita nei programmi di prevenzione, offre anche possibilità di grande utilità sociale fornendo l’opportunità di studi epidemiologici basati sulla familiarità, sullo studio delle abitudini di vita (fumo, alimentazione ecc…).Per il futuro saranno quindi necessari nuovi precorsi diagnostico terapeutici anche per i pazienti sottoposti a regime carcerario.

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