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Da parecchi anni viene utilizzata la nanotecnologia in medicina tanto da definire una nuova branca: la nanomedicina. Eppure si tratta di qualcosa di ancora poco conosciuto. Il tema del viaggio nell'infinitesimale ha sempre affascinato: già presente nella letteratura fantastica con "La ragazza nell'atomo d'oro"; nei fumetti: "Viaggio in una moneta". Vi ritornerà anche il cinema "Viaggio Allucinante" e "Salto nel buio". In maniera molto semplificata si tratta di usare dei trasportatori invisibili a occhi nudo per portare molecole direttamente nelle cellule. In medicina molto è stato già fatto e da qualche tempo si stanno effettuando ricerche anche in campo oncologico. Un sensore nanotech potrebbe essere capace di identificare i marcatori biologici del cancro, anche in poche cellule o in un minuscolo campione di tessuto, grazie alle nanotecnologie si potrebbe mettere a punto nuovi strumenti diagnostici, ma anche nuovi substrati sui quali appoggiare farmaci da rilasciare all'interno della cellula tumorale.
Un'esempio per capire le potenzialità delle nanotecnologie è offerto da una ricerca su nanoparticelle brevettate due ricercatori napoletani, Michele Caraglia (II Università di Napoli) e Giuseppe De Rosa (Università di Napoli Federico II), con la collaborazione di Carlo Leonetti dell’Istituto Regina Elena di Roma e di Pierfrancesco Tassone dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro. Alla ricerca hanno preso parte anche giovani laureati tra cui Monica Marra, Silvia Zappavigna, Giuseppina Salzano, Sara Lusa e Manuela Porru. Lo studio prevede l’impiego di nanotecnologie per trasportare un farmaco, oggi impiegato nel trattamento di patologie degenerative a carico delle ossa, all'interno delle cellule tumorali e renderlo così un farmaco antitumorale.
Il farmaco in questione è l’acido zoledronico che si accumula solo nel tessuto osseo, ma non nelle cellule tumorali quindi con una scarsa attività antitumorale nei pazienti oncologici. Mediante le nanotecnologie sono state sviluppate nanoparticelle in grado di incapsulare l’acido zoledronico. Tali particelle sono state progettate per limitare il deposito dell’acido zoledronico nell’osso, favorendone l’accumulo nelle cellule tumorali. L’acido zoledronico è stato usato sui tessuti tumorali negli animali e si è visto che è in grado di ridurre in maniera la crescita del tumore senza osservare segni di tossicità a carico dei tessuti sani, a conferma dell’ipotesi che tali vettori possano trasportare il farmaco solo dove c’è bisogno. Risultati buoni sono stati ottenuti in neoplasie quali l’adenocarcinoma prostatico, mieloma multiplo, carcinoma mammario, polmonare e glioblastoma.
A questo punto serve solo un partner industriale

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