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Sono stati presentati i risultati dello studio di fase 2 RUCAPANC nei pazienti affetti da un tumore al pancreas e portatori di mutazioni di BRCA. Lo studio presentato al congresso annuale dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) a Chicago, ha evidenziato che rucaparib, il nuovo inibitore della poli-(ADP-ribosio)-polimerasi (PARP) si dimostra attivo, con un profilo di sicurezza accettabile.

Il carcinoma pancreatico, con i suoi 13.000 nuovi casi e il 6% dei decessi, entra tra le prime 5 cause di morte per tumore, in Italia. L’andamento è in costante tendenza all’incremento, ed è noto si tratti di una delle neoplasie a prognosi più sfavorevole: solo il 7% degli uomini e il 9% delle donne risultano vivi a 5 anni, senza sensibili scostamenti di prognosi negli ultimi 20 anni. Non stupisce quindi il costante interesse delle aziende farmaceutiche nella ricerca di nuovi farmaci.

I pazienti candidabili alla chirurgia con intento “curativo”, sono meno del 20%; il trattamento chemioterapico adiuvante prevede: 5-fluorouracile/acido folinico (ESPAC-1 Study) o gemcitabina (CONKO-1 Study). La radio-chemioterapia post-operatoria ha senso solo nei pazienti con chirurgia non radicale (R1).

Molti degli insuccessi delle terapie mediche sono legati al profilo genetico di questa malattia che è ancora poco noto: oggi sappiamo, ad esempio, che il 9% di questi pazienti è portatore di una mutazione somatica o della linea germinale di BRCA. Studi recenti hanno dimostrato che rucaparib è efficace nel trattamento delle pazienti affette da un carcinoma ovarico di alto grado platino-sensibili, ricadute e portatrici di una mutazione di BRCA. Partendo da questi risultati la Dott.ssa Domchek, del Basser Center for BRCA dell’Abramson Cancer Center presso l’Università della Pennsylvania di Philadelphia ha iniziato la sperimentazione clinica di fase 2 in pazienti con un tumore al pancreas portatori di una mutazione di BRCA: oltre il 30% dei pazienti arruolati ha mostrato una risposta parziale o una stabilizzazione della malattia per più di 12 settimane e uno ha ottenuto una risposta completa.

Non male, se consideriamo che l’introduzione di farmaci biologici nella malattia avanzata, non ha determinato sostanziali vantaggi negli studi clinici di fase III, fin qui pubblicati.

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